La scritta in oggetto individua l'edificio che ospitava un'Infermeria deputata all’ospedalizzazione dei malarici, sito in località Ca' Corner, presso Portegrandi.
La malaria - malattia trasmessa dalla zanzara anofele, vettore esclusivo dei parassiti patogeni - risultava al tempo diffusa in Italia in due forme cliniche: la terzana c.d. benigna o primaverile, causata dal plasmodium vivax e costituente la maggior parte dei casi di malaria in primavera, e la terzana c.d. maligna, causata dal plasmodium falciparum e prevalente in estate e autunno. Elemento caratteristico della patologia è la comparsa di gravi accessi febbrili, ripetuti con regolarità dopo l’infezione primitiva, intervallati da periodi di apiressia. Se la terzana c.d. maligna ha tendenza ad aggravarsi sensibilmente, causando anche la morte del malato, la sintomatologia della terzana c.d. benigna, dopo un certo numero di accessi, si esaurisce; il patogeno rimane tuttavia silente nel fegato, riattivandosi anche dopo lungo tempo, con l’insorgenza di recidive e quindi di una forma malarica cronica, con grave e progressiva compromissione dello stato di salute.
Il problema del trattamento dei malarici - già affrontato dall’Esercito Italiano nei primi anni di guerra, in particolar modo per le truppe stazionate nell’area del basso Tagliamento e del basso Isonzo - si acuì nel corso del 1918, specialmente nelle zone a sud del Piave, laddove il terreno era stato deliberatamente allagato nel novembre 1917, mediante la distruzione delle opere di bonifica, al fine di rallentare l’avanzata degli Austro-Ungarici.
Secondo quanto riportato nello studio di Giorgio Mortara ("La Salute Pubblica ..., op. cit.), "le armate che tenevano la linea del Piave avevano già nelle loro file un buon numero di malarici, prima che si manifestassero nuovi casi d’infezione locale: circa 12.000 casi erano stati accertati fra il dicembre 1917 e l’aprile 1918. Col sopraggiungere della nuova fase epidemica, i casi si moltiplicano; se ne hanno circa 21.000 da maggio ad agosto 1918. Nel solo mese di agosto il numero dei nuovi casi di malaria nelle due armate tocca il 24‰ della forza: l’infezione mette fuori combattimento 10.000 uomini. Mancano precise notizie per i mesi successivi all’agosto; ma è noto che l’epidemia ha ulteriormente dilagato. [...] Il numero dei casi di malaria denunziati alla fronte italiana nel 1918 sarebbe asceso a 85.032, dei quali 29.382 primitivi".
Tra le misure adottate per contrastare la patologia si annoveravano l’impiego di farmaci (il chinino), l’adozione di difese meccaniche (reti, porte con bussola, cappucci e guanti) e ambientali (fumigazioni con prodotti chimici o paglia umida) e l’esecuzione piccole bonifiche del suolo (drenaggi, canalizzazioni, copertura di pozzi, cisterne e vasche, riattivazione delle idrovore, ecc.).
Furono istituite sedi di accertamento microscopico, per l’individuazione precoce dei malati attraverso la ricerca dei parassiti nel sangue, nei laboratori presso Ufficio di Consulenza Antimalarica della 3ª Armata di Altino, degli Ospedali da Campo nn. 216 di Polesella e 056 di Mira, dell’Infermeria per malarici della Direzione di Sanità dell’11° Corpo d’Armata di Cavallino, degli Ospedali nn. 206 di Adria e 223 di Francolino e dell’Ospedale Hôtel Vittoria di Venezia.
Nel corso del 1917 fu disposto il raggruppamento dei malarici in speciali unità sanitarie di corpo d'armata e d'intendenza (infermerie, ospedali e convalescenziari), in cui condurre la bonifica e la terapia dei malati (il malarico era un portatore di infezione e doveva quindi essere sottoposto a un efficace trattamento curativo e profilattico), per poi procedere allo sgombero in località salubri, al fine di escludere escludere la possibilità di reiterazione del ciclo parassitario.
Nel 1918 l'ospedalizzazione dei malarici fu eseguita in apposite Infermerie divisionali permanenti, in cui si provvedeva ad accertare tempestivamente il tipo di infezione e ad attuare la terapia. Se ne contavano quattro in località della provincia di Venezia (Ca’ Corner, Porte Grandi, Cavallino e Favaro Veneto), quattro in provincia di Treviso (Olmi, Pero, Vacil, Sant’Artemio) e una in provincia di Padova (Trebaseleghe).