L'identificazione del militare commemorato nella lapide in oggetto è problematica: l'Albo d'Oro riporta il nominativo di un militare del 20° Reggimento della Brigata Brescia, Ferraro Antonino, morto il 17 maggio 1917. Nel registro austro-ungarico del cimitero di guerra "Colonnello Cisterni" di Devetachi risulta un dato sostanzialmente conforme: Ferraro Antonio, del 20° Reggimento Fanteria, deceduto il 16 maggio 1917.
Nell'Albo d'Oro non sono invece presenti caduti del 90° Reggimento Fanteria che rispondano al nome di Ferraro Antonio (o simili).
Premesso che nell'Albo d'Oro si riscontrano alcune omissioni, è tuttavia verosimile concludere la lapide commemori il Soldato Ferraro Antonino (di Giuseppe, nato il 5 dicembre 1891 a Cittanova in provincia di Reggio Calabria), appartenente al 20° Reggimento Fanteria della Brigata Brescia (allora impegnata in aspri combattimenti per la conquista di Q. 432 del Fajti), morto per ferite riportare in combattimento il 16/17 maggio 1917 e seppellito al Cimitero "Colonnello Cisterni" di Devetachi.
L'incisione "90" sulla lapide sarebbe quindi frutto di un errore di scalpellatura.
Il Cimitero di guerra "Colonnello Cisterni" di Devetachi fu rinominato nel primo dopoguerra Devetachi (o Devetaki) n. 1. I caduti furono successivamente traslati al Sacrario di Redipuglia.
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I CIMITERI DI GUERRA DI DEVETACHI
Con la sesta battaglia dell'Isonzo (5-17 agosto 1916), il Regio Esercito ottenne quella che si può definire la prima grande vittoria italiana della guerra. Con questa offensiva cadde la città di Gorizia, che per oltre un anno aveva resistito, protetta da robuste posizioni arroccate sull'omonima testa di ponte, agli innumerevoli assalti italiani. Con lo scardinamento di questa posizione difensiva di fronte a Gorizia le linee austroungariche sul fronte carsico, a sud della città, divennero insostenibili. Gli alti comandi austroungarici ordinarono quindi uno sgombero dell'altipiano carsico di Doberdò e delle cime del monte San Michele, con un conseguente riposizionamento delle truppe oltre il cosiddetto Vallone.
Questo "Vallone", che torna frequente nelle varie testimonianze belliche italiane, nei documenti ufficiali e nei diari, non era altro che una valle frutto dell'erosione fra i due altipiani carsici di Doberdò e Comeno. Su questo secondo si erano appostate ora, incalzate dagli italiani, le truppe austroungariche che guarnivano le sue prime propaggini: monte Nad Logem, monte Veliki Hribac, Quota 208 nord, Quota 208 sud...
Il Vallone, che prima aveva ospitato i ricoveri degli austriaci appostati sull'altipiano carsico di Doberdò, ora rappresentava invece il primo rifugio per le truppe italiane in linea poco più a est. La grande piega del terreno illudeva i soldati di essere al riparo: nei vari angoli morti e negli spiazzi prativi sorsero baraccopoli, depositi, posti di riposo ma soprattutto cimiteri di guerra. I piccoli paesini di poche case da contadini che guarnivano il Vallone divennero degli snodi della cosiddetta "viabilità di guerra". Palichisce, Mikoli, Boneti, Devetaki divennero punti di riferimento per le migliaia di soldati del Carso.
Proprio a Devetachi, un piccolissimo borghetto ai piedi dei monti Brestovec e Nad Logem, sorse un enorme villaggio militare. Qui vennero costruite baracche per depositi, comandi e ricoveri per le truppe. Nella piccola valletta compresa fra il borgo e il valico di Devetaki sorsero tre cimiteri di guerra italiani.
Il problema della raccolta e dell'inumazione dei tanti cadaveri dei soldati caduti era di grande importanza, sia per quanto concerne la sfera intima della commemorazione dei caduti, sia per quanto riguarda la sfera igienica, poiché la presenza di tanti cadaveri in stato di decomposizione risultava un pericolo per la salute dei combattenti. Nacque così la necessità di creare a ridosso della linea del fuoco molteplici cimiteri di guerra.
I tre cimiteri di Devetachi raccolsero i caduti delle offensive dette "spallate" che si svolsero sul Carso di Comeno nell'autunno e inverno del 1916.
Vennero inizialmente intitolati ad alcuni reparti che riversarono in questi camposanti la gran parte dei loro caduti: Brigata Pinerolo, Brigata Regina, 45a Divisione. In seguito, come era consuetudine, anche questi cimiteri vennero intitolati alla memoria di alcuni ufficiali (o medagliati), particolarmente famosi ed amati fra le truppe, che vi avevano trovato sepoltura. Fu così che i tre cimiteri di Devetaki presero il nome del colonnello Cesare Cisterni, del maggiore Umberto Marescalchi e del tenente Riccardo Cicognani.
Cesare Cisterni, originario di Cesena ma residente a Bologna, militare di professione, reduce delle guerra d'Africa, dove era stato nella guarnigione di Agordat assediata dagli abissini nel 1896 al tempo della battaglia di Adua, era colonnello del 78° reggimento fanteria della brigata Toscana: morì sotto un bombardamento che colpì in pieno la baracca del comando del 78° Reggimento fra Nad Logem e Veliki Hribach, uccidendo praticamente tutti i suoi occupanti. Era stato appena decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare per la presa del Sabotino.
Umberto Marescalchi era originario di Baricella, in provincia di Bologna, ed era un amatissimo ufficiale del 13° Reggimento Fanteria della brigata Pinerolo. Anche Riccardo Cicognani appartenenva alla brigata Pinerolo, ma al 14° Reggimento Fanteria, ed era originario di Ravenna. Tre cimiteri quindi dedicati alla memoria di emiliano-romagnoli nel cuore del Carso.
I tre cimiteri di Devetaki vennero smantellati fra il 1935 e il 1938 quando venne costruito il Sacrario di Redipuglia. Fu così che i 2.000 morti del cimitero Cisterni, i 1.000 del Cicognani e i 47 del Marescalchi vennero traslati al grande sacrario. Oggi dei tre campisanti di Devetaki rimangono solo i muri di recinzione diroccati sommersi dagli sterpi e qualche tomba malridotta sperduta fra la vegetazione.