L'iscrizione - collocata su una esposta cengia affacciata sulla parte terminale della Val di Ledro e situata poche decine di metri al di sotto del caposaldo italiano di quota 700 - riporta il cognome "Gervasoni", con tutta verosimiglianza un militare assegnato al presidio o alla sistemazione dell'avamposto.
All'interno del II Sottosettore (Abschnitt Riva) del III Rayon (Trentino meridionale), Cima Rocca e Cima Capi costituivano gli ultimi formidabili baluardi della linea trincerata austroungarica sui crinali della Val di Ledro, collegate alle opere della Tagliata della Ponale (Ponalsperre) mediante le postazioni del Defensionmauer (quote 700, 550 e 500).
Cima Rocca, Cima Capi e il Defensionmauer vennero investiti dall'offensiva italiana condotta tra il 5 e il 21 aprile 1916 dagli alpini del Battaglione Val Chiese, dai bersaglieri dell’VIII Battaglione del 7° Reggimento e dai finanzieri del III Battaglione (coadiuvati dai fanti del 62° Reggimento della Brigata Sicilia ed da un reparto di Volontari Bresciani).
Nella prima fase dell’offensiva verso Cima Capi, gli Italiani riuscirono a conquistare quota 700 del Defensionmauer, con notevoli perdite.
Il cappellano militare don Primo Discacciati, assegnato all'Ospedaletto da campo n. 25 di Storo, restituisce nel suo diario alcune significative impressioni della battaglia: "le autolettighe continuano a sgombrare feriti" (6 aprile); "questa notte 42 nuovi feriti, conciati in tutti i modi" (9 aprile); "continuano ad arrivare truppe di rincalzo: fanteria, Alpini, finanzieri. L'azione verso Riva non va molto bene: gli Austriaci sono trincerati (sic) in gallerie e anche i nostri maggiori calibri non riescono a sloggiarli" (15 aprile).
L’azione verso la sovrastante quota 906 (Cima Capi o Sperone) ebbe invece luogo tra il 20 e il 21 aprile: gli alpini del Battaglione Val Chiese, sostenuti da due plotoni di bersaglieri, scalarono la parete rocciosa, con “salita difficoltosissima e … effettuata esclusivamente col concorso delle corde manilla” (così nel Diario storico militare del Battaglione Val Chiese).
Memorabile la descrizione dell'assalto fatta dal bersagliere Tenente Giuseppe Gabbin in una lettera al fratello (cfr. “Qui finisce l’odio del mondo”, cit.): "Si trattava di superare un piccolo dislivello di 200 metri per giungere di sorpresa sulle trincee nemiche. Il breve dislivello era allora rappresentato da una muraglia sola. Salimmo quindi a larghi intervalli, passando da una roccia all'altra, da una spaccatura ad una corda, sempre sospesi nel vuoto. Il buon Dio pensò ch'era conveniente qualche corroborante e fece imperversare su noi, per tutta la durata della scalata un diluvio di pioggia, neve, grandine e con esso sassi d'ogni misura ed un vento impetuoso. Col mio plotone di testa giunsi alla fine della salita dopo nove ore di fatica improba. Non c'erano che due vedette, mezzo addormentate, che senza essere in tempo di dare l'allarmi, fecero un volo di 800 metri cadendo a picco presso la bella Riva".
Dopo numerosi attacchi e contrattacchi la quota 906 venne brevemente conquistata: già alle ore 5, 30 del 21 aprile, tuttavia, gli attaccanti furono costretti a ripiegare sulle posizioni di quota 700.